La sostenibilità ambientale e l’economia non sono più in lotta tra loro, ma alleate. Infatti, l’agenda 2030 dell’Onu ha evidenziato tutte le criticità di un mondo basato solo sulla crescita economica, perdendo di vista ambiente, diritti umani e qualità della vita.
Il nuovo approccio punta su un concetto più ampio e dinamico di sostenibilità ambientale. Da un lato, si cerca di ridurre l’impatto ambientale o l’impronta ecologica – cioè tutti quei comportamenti che possono danneggiare l’ambiente – mentre dall’altro si cerca di trovare strade alternative di produzione per garantire le stesse risorse alle generazioni future.
In più, la sostenibilità ambientale e l’economia cambiano in base a diversi fattori. Il più importante è la tecnologia, che incide sui processi di produzione con conseguenze difficili da prevedere. Poi, ci sono le leggi e i Governi dei vari Paesi, che possono accendere la scintilla, oppure trovare soluzioni normative per favorire questo metodo per fare impresa.
La sostenibilità è andata quindi oltre l’ambiente e si è data degli obiettivi e dei requisiti. Non si può più parlare di sostenibilità dove c’è esclusione sociale, povertà estrema, disuguaglianze legate al genere o all’orientamento sessuale. Difficile quindi parlare di sostenibilità quando una donna guadagna un terzo in meno degli uomini con lo stesso ruolo e incarico, magari lavorando il doppio.
Anche i diritti come salute, istruzione, accesso all’acqua, all’energia, al lavoro, alla giustizia, alla pace, alla crescita inclusiva e sostenibile sono diventati argomenti di economia, in un mondo dove prima non lo erano. In più, l’agenda 2030 ha avuto anche il merito di porre l’accento sulla strada che c’è da fare e sugli investimenti possibili in quest’ottica.
Da qui arriva la definizione del 2011, quando le istituzioni iniziarono a parlare di dimensioni della sostenibilità, intesa come i diversi approcci. La novità arrivò a Göteborg, in Svezia, con il documento della Strategia europea per lo sviluppo sostenibile. In questo documento ufficiale, l’UE esponeva un piano a lungo termine che prevedeva una dimensione ecologica cioè basata sui tempi di rigenerazione delle risorse da parte della natura, economica cioè nell’ottica della crescita, e sociale intesa come equa per tutti, anche per le generazioni future.
Nello stesso documento si valutavano anche quali erano i comportamenti dell’economia che incidevano negativamente sull’ambiente. Se ne evidenziarono quattro in particolare:
- L’estrazione mineraria, con particolare riferimento a metalli e combustibili fossili;
- I composti chimici, per le loro conseguenze per l’ambiente nel processo di produzione, dalla realizzazione allo smaltimento;
- Le condizioni di lavoro precarie che impediscono la risposta ai bisogni primari, anche di salute.
Accanto ai problemi, furono esposte poi le soluzioni, che sono note come i 4 pilastri dello sviluppo sostenibile. In particolare, il riciclo, il riutilizzo e la biodegrabilità – cioè creare prodotti che in natura si degradano in poco tempo – hanno invertito la tendenza che era presente nei processi produttivi di allora e di oggi. La sostenibilità ha sostituito il consumo e ha favorito la stabilità, che è l’obiettivo principale da raggiungere.
La sostenibilità sociale è stato un fattore dirompente in tal senso. Infatti, oltre al benessere economico, si è pensato a delle società dove non solo i collaboratori portano avanti un obiettivo comune, ma trovano nel lavoro l’espressione di aspirazioni, sogni ed esigenze al di fuori dell’ambito strettamente professionale, grazie allo sviluppo delle scienze sociali.
Infine, ci si è resi conto che anche la differenza tra ricchi e poveri spinge allo spreco delle risorse disponibili. L’economia del prendere-fare-disporre – take-make-disponse in inglese – cioè l’economia che conosciamo di prendere delle materie prime, realizzare dei prodotti e metterli in vendita si basa su una quantità eccessiva di energia e di risorse che potremmo non avere in futuro.
Per questo, si è passati all’economia circolare, una formula che divide la crescita economica dall’utilizzo di risorse. In passato più si produceva, più si cresceva, più si consumava. Invece, con l’economia circolare si produce meno, per consumare meno, per utilizzare di più il prodotto (magari rigenerandolo ad altro uso) e per riciclarlo al termine del processo. La fase di riciclo diventa un nuovo inizio, da cui partire per ottenere materiali senza usare risorse esterne.
Quali sono i vantaggi dell’ottica della sostenibilità ambientale nell’economia ? Conviene investirci? Sì. Utilizzando gli scarti con il riciclo, il costo di solito si riduce rispetto allo sfruttamento delle risorse naturali. In più, elimina il costo dei rifiuti (più grande è l’azienda, più il costo di smaltimento rifiuti aumenta).
Infine, si usa meno energia e da fonti rinnovabili. L’energia che si produce diventa così inesauribile e non dipende dalle fluttuazioni del mercato o da altri incidenti di percorso, dettati anche da vicende geopolitiche.
Poi ci sono i vantaggi di mercato. Migliora l’efficienza e il benessere in azienda, i consumatori premiano chi produce in modo consapevole, si gestiscono meglio i rischi e la reputazione diventa un vantaggio competitivo non da poco grazie alla sostenibilità.