Economia circolare e recupero dei rifiuti al centro di Ecomondo. L’evento si è svolto a Ravenna dal 9 all’11 novembre. Durante l’edizione 2022 – la 25esima – il Conou ha condotto una ricerca per capire come viene percepita l’economia circolare da chi ne è interessato. Così, si scopre che il 70% degli intervistati è convinto che questo tipo di economia sia indispensabile e l’80% lo collega alla circolarità e al recupero dei rifiuti.
Per il 50% degli intervistati – oltre 500 – sono i governi che devono iniziare per primi, intervenendo sulle domande che arrivano dalla crisi ambientale in corso. Solo un 30% indica nell’impresa e nell’industria il primo che dovrebbe intervenire con le proprie scelte di produzione. Il 56% dei visitatori vede nell’economia circolare uno strumento dove investire per ottenere progetti più sostenibili dal punto di vista ambientale. Questi fondi non dovrebbero arrivare dall’UE per la maggioranza degli intervistati: solo il 21% indica questo denaro come un’occasione da non perdere per questo tipo di investimenti.
Il 58% dei giovani nella fascia 19-24 anni ritiene i progetti in questa direzione impossibile da rimandare. Anche la fascia di età direttamente successiva, 25-34 anni, sono d’accordo, trovando nei governi i primi responsabili della situazione per il 63 percento. La sensibilità ambientale in tutte le generazioni, però, resta ancora un obiettivo da raggiungere.
Quali sono i dati sull’economia circolare attualmente a disposizione? Nel 2021, il comparto ha portato lavoro per 519 mila addetti, senza contare i 3,5 miliardi di euro di valore per il Pil nazionale. Riciclare, ricondizionare e riutilizzare materiali e oggetti allunga il ciclo di vita e riduce l’impatto ambientale. Per raggiungere questi obiettivi, questa forma di economia si basa sulla condivisione, il prestito, la riduzione dei rifiuti dove possibile. Gli interlocutori italiani sono imprese consolidate, oppure modelli di business in accordo tra startup e centri di ricerca.
Il termine economia circolare si basa sulla definizione data nel 1976 da Walter Stahel e Geneviève Reday. In un rapporto alla Commissione europea, i due sostennero che il riutilizzo di beni avrebbe avuto un impatto sull’economia e sul lavoro. Quel rapporto si chiamava “The Potential for Substituting Manpower for Energy”. Infatti, come la Natura riutilizza i materiali per poter generare nuova vita, così rendere di nuovo funzionali gli oggetti avrebbe potuto generare una nuova economia.
L’economia circolare si basa su azioni concrete: materiali rinnovabili e riciclo; estensione del ciclo di vita dei prodotti, piattaforme per favorire la condivisione – quindi il riutilizzo – degli oggetti, servizi per usare qualcosa invece di produrre qualcosa, la ridefinizione dell’oggetto per dargli un nuovo uso. Per questo, si possono riconoscere 3 fasi: riduzione di risorse naturali usate, riutilizzo e, infine, riciclo.
I vantaggi dell’economia circolare che la renderebbero indispensabile sono diversi, ma i più interessanti riguardano l’ambiente. Meno risorse utilizzate sono il sintomo di una gestione migliore e la causa di un ambiente più sano. Così, l’economia non si basa più sul consumo, ma sull’impiego. In più, si sviluppano prodotti modulabili, quindi modificabili dal cliente finale, in modo da sfruttare quel prodotto il più a lungo possibile. La spinta alla condivisione genera servizi che prima non esistevano e che vanno ideati. Infatti, nascono nuove idee per il noleggio o per il prestito.
Gli scarti di produzione si riducono, quindi anche i costi per lo smaltimento diminuiscono. Per rispondere a queste nuove esigenze, la logistica cambia volto e si rigenera, creando più canali. Anche le norme devono adattarsi a questi cambiamenti, sviluppandosi ed evolvendosi. Artigiani e commercianti riescono a valorizzare la propria identità e il saper fare del territorio, con ottime ricadute occupazionali nel commercio al dettaglio o a chilometro zero, lontano dai chilometri macinati dalle multinazionali.
Purtroppo, ci sono anche dei contro. Riciclare non è gratis, anche se costa meno. I materiali non si adattano sempre al riciclo, oppure si adattano fino a un certo numero di volte, poi vanno scartati. Il processo di recupero escluderebbe materiali validi, che però non si possono riciclare per un numero di volte conveniente per l’impresa. Anche le normative devono essere più inclusive e dimenticare per un attimo i confini tra Paesi, altrimenti si rischia che ogni Stato abbia idee diverse su cosa è riciclabile e cosa no. Infine, anche la transizione ha bisogno di tempo per passare da un’economia di consumo all’economia circolare.
Per poter affrontare questa fase di transizione, servono dei professionisti. Questi non dovranno avere solo la sensibilità ambientale che caratterizza le giovani generazioni, ma anche competenze e soft skills per adattarsi ai cambiamenti in atto. Anche il mondo dell’università, soprattutto nelle facoltà chiave – Ingegneria, Economia, Comunicazione, Architettura, Scienze Ambientali, Fisica, Chimica, ecc. – devono trovare il modo di parlarsi e di creare approcci multidisciplinari per costruire i progetti che garantiscono un domani.
Lo scorso 19 novembre la Regione Lazio e Roma Natura hanno presentato un progetto sulla Marcigliana per realizzare un Distretto di economia circolare a carattere sperimentale. L’obiettivo è creare un modello che sia poi riproducibile nel tempo. Al momento, il progetto è nella fase di studio preliminare, ma presenterebbe ottimi indici di fattibilità.
Al momento, il progetto è nella fase di studio preliminare, ma presenterebbe ottimi indici di fattibilità.
Rispetto ad altre forme di investimento, l’economia circolare è una forma non solo più sostenibile e sicura per l’ambiente, ma anche per l’investimento. I cambiamenti climatici stanno causando un cambiamento radicale anche nei consumi, generando una rivoluzione anche nell’organizzazione della produzione aziendale.
Ideare e progettare soluzioni e organizzazioni più flessibili in questo contesto potrebbe essere la chiave per investire nel futuro e per arrivare prima degli altri, mentre i Governi si chiedono ancora cosa fare durante la Cop27 e si dispera di poter raggiungere gli obiettivi previsti per il 2030 e per il 2050 in Europa e nel mondo. Già trovare delle alternative alla produzione di energia non sostenibile e al riutilizzo di materie prime e scarti per la produzione di energia sarebbe già una prima soluzione.
I dati mostrano un’attenzione del pubblico sempre maggiore a questi temi e un aumento di interesse negli indirizzi scientifici che si riferiscono all’ambiente e a sistemi di produzione più consapevoli dell’impatto dell’Uomo sul Pianeta.