Che cos’è la finanza centralizzata e perché sta destando tanto interesse, soprattutto nelle banche tradizionali e nelle istituzioni europee? Facciamo chiarezza. La finanza centralizzata o De.Fi – dall’inglese Decentralized Finance – è l’insieme dei servizi finanziari su blockchain pubbliche, cioè che si ottengono usando criptovalute pubbliche come Ethereum.
In due anni, la nuova tecnologia si è portata a casa 250 miliardi di valore, bloccato nei cosiddetti contratti intelligenti o smart contracts. Ha attirato subito l’attenzione degli istituti di credito perché tra i servizi disponibili ci sono quelli tradizionalmente bancari: prestiti, mutui, polizze assicurative e investimenti con derivati.
Dato che non ci sono intermediari o enti di controllo, il sistema decentralizzato è gestito dagli utenti e non chiede garanzie bancarie. Chi intende investire può usare strumenti come: scambi di valuta digitale, pool di investimenti, derivati finanziari, staking, previsioni e persino pagamenti. Le monete più usate sono: Bitcoin, Ethereum, Dogecoin, Monero e Litecoin. Per guadagnarci – in teoria – basterebbe lavorare sulle differenze sui tassi di cambio tra monete virtuali.
Trovata la gallina dalle uova d’oro, arrivano anche gli strumenti finanziari per approfittarne. Il trend è in crescita e sono nate soluzioni come Aave e Compound per i prestiti, Synthetix e Mirror Protocol per scambiare le azioni della tech-economy e gli investimenti in TVL – cioè con valore bloccato – di Yearn Finance.
L’investitore che offre un prestito ha tutto da guadagnarci. Gli basta usare uno smart contract e ottenere subito la riscossione della garanzia se al momento della scadenza il prestito non viene estinto. In più, non serve passare dai tribunali. Il tasso di interesse applicato può arrivare anche al 30 percento. Certo, il contratto virtuale non è esente da rischi e da contro.
Basandosi su soluzioni informatiche, basta un dato sbagliato – una rete o un indirizzo – per vanificare tutto, così come una decisione sbagliata legata alla scarsa esperienza su queste dinamiche, completamente diverse dal mercato finanziario tradizionale. I dati su cui si basa la previsione di rientro – i cosiddetti oracoli – possono essere errati per via di un vizio informatico o di un attacco hacking. Infine, anche i contratti intelligenti non sono esenti da bug.
Poi, ci sono i rischi finanziari. I contratti si basano su una criptovaluta. Di conseguenza, se il valore di quella criptovaluta scende, scende anche quanto si deve restituire. Ci sono anche hacker in gradi di vanificare il valore di un contratto, semplicemente intervenendo in modo fraudolento.
Le nubi sulla finanza decentralizzata
Il caso del crollo di BlockFi – la cui notizia è stata resa nota lo scorso 28 novembre – ha paralizzato il mercato della crypto-finanza. Facciamo un passo indietro per vederci chiaro. BlockFi è una piattaforma di scambio criptovalute. Nel 2017 si presentava come leader del settore della finanza decentralizzata e ha attirato su di sé una serie di investimenti, per un valore complessivo di circa 28,5 miliardi di dollari (stima di massima).
Diversi attacchi hacking l’hanno messa in ginocchio nel 2021, costringendola a chiedere aiuto a FTX, società di scambio criptovalute, con un prestito di 400 milioni di dollari. L’operazione ha un grande successo, ma nel contratto c’era l’opzione di acquisto, Se BlockFi non avesse pagato, sarebbe stata della FTX.
La bolla speculativa che ha colpito FTX ha preso anche a effetto domino la BlockFi. Di conseguenza, questa seconda società ha chiesto agli investitori di sospendere le operazioni, bloccando prelievi e inserimento di nuovo denaro finché non si fosse chiarita la situazione. L’occasione è stata ghiotta per il concorrente Binance e per il suo fondatore Changpeng CZ Zhao, che ha creato un maxi fondo di salvataggio.
La questione finanza decentralizzata non è passata inosservata dall’Unione Europea, che il 30 giugno 2022, in un comunicato stampa, annuncia una proposta di regolamentazione per il mercato delle crypto-attività, inclusa anche la De-Fi.
“I recenti sviluppi in questo settore in rapida evoluzione hanno confermato l’urgente necessità di una regolamentazione a livello dell’UE. Il MiCA proteggerà meglio gli europei che hanno investito nelle cripto-attività e ne impedirà l’uso improprio, favorendo l’innovazione per mantenere l’attrattiva dell’UE. Questo importante regolamento porrà fine al “cripto far west” e conferma il ruolo dell’UE quale organismo di normazione per le tematiche digitali” aveva spiegato in quell’occasione Bruno le Maire, ministro francese dell’Economia, delle Finanze e della sovranità industriale e digitale.
La proposta prevede che chi propone i servizi in criptovaluta sia regolamentato per proteggere investitori e consumatori. In più, dovranno fornire informazioni sul loro impatto ambientale, dato che per queste attività i server devono essere accesi H24. Si pensa anche di dare mandato all’ESMA – Autorità Europea per gli Strumenti Finanziari e i Mercati – per una regolamentazione tecnica e una normativa antiriciclaggio aggiornata con le attività delle criptovalute.
La strada è ancora lunga, visto che si deve aspettare il parere prima del Consiglio Europeo e poi del Parlamento. In ogni caso, è presto per parlare di una sostituzione al settore interbancario tradizionale, la cosiddetta TradFi.